Il carattere che gli si attribuisce in quel primo suo periodo di vita, è degno di menzione, perchè gli scrittori papisti, dopo la sua apostasia, si sforzarono in ogni modo possibile di screditare la sua autorità, e oscurare il suo nome. Schenk lo descrive come "un giovane eccellentissimo, [46] che si era molto distinto fra gli studenti di legge a Padova, e bramava terminare i suoi studj a Wittemberg, sotto gli auspicj, e la protezione dell'elettor Federico (52)."
Malgrado il terrore delle bolle pontificali, e l'attività di coloro che vegliavano all'esecuzione di esse, gli scritti di Lutero, di Melantone, di Zuinglio, di Bucer, continuarono a circolare, e ad esser letti con grande avidità, e piacere in tutte la parti d'Italia. Alcuni furono tradotti in italiano, e per eludere la vigilanza degl'inquisitori, furono pubblicati sotto nomi mentiti o trasformati, e in questa guisa si fecero strada a Roma, ed anche dentro il Vaticano stesso, tanto che i vescovi, e i cardinali qualche volta, senza neppure accorgersene, leggevano e lodavano opere, che, scoprendone in seguito i veri autori, erano obbligati di condannare come pericolose ed eretiche. Il vecchio Scaligero riferisce un incidente di questa specie, che accadde quando egli era in Roma. "Il cardinal Serafini (dice egli), era in quel tempo consigliere, ossia uditor di Rota, venne un giorno da me, e mi disse: - Noi abbiamo oggi avuto un affare ridicolissimo. I Luoghi Comuni di Filippo Melantone furono stampati a Venezia con questo titolo: da messer Ippofilo da terra Negra (53). Quest'opera, [47] essendo stata mandata a Roma, fu liberamente comprata per lo spazio di un anno intero, e letta con grande applauso; cosichè, vendute tutte le copie, fu spedito a Venezia per averne delle altre; ma nello stesso tempo un frate francescano, che possedeva una copia dell'edizione originale, scoprì la frode, e denunziò il libro come contenente le massime di Lutero scritte da Melantone.
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