Avremo poi occasione di parlare dei commentari di Folengo. Isidoro Clario, abbate benedettino di Monte Cassino, che fu innalzato al vescovato di Foligno, pubblicò la Volgata corretta coll'originale ebraico, e greco, e corredata di dissertazioni preliminari, e note esplicatorie; ma l'opera non comparve fino al 1542, quando il progresso dell'eresia ebbe posto in costernazione i suoi colleghi; della qual cosa la conseguenza fu, che l'opera subì la censura, e i prolegomeni furono soppressi (86). Egli offese molto [62] col dire nella sua prefazione, che aveva diligentemente corretto la versione del Testamento Vecchio coll'ebraico, e quella del Nuovo colla verità greca (87). L'autore s'era ancora prevalso delle note dei protestanti, ma occultamente, "perchè nel tempo in cui scrisse, il citare un protestante era un delitto capitale", come candidamente confessa Tiraboschi. L'eresia (dice un altro moderno scrittore) era un contagio di cui il minimo contatto destava orrore. Il cordone di separazione era tirato tutto intorno. Clario non temeva il contagio per se, ma temeva di comparire spirito forte, e la sua prudenza scusa il suo plagio (88).
Col mezzo di questi studj, le menti illuminate degl'Italiani si rivolsero verso le Scritture, e si prepararono a far parte della controversia religiosa, che fu messa in campo. Alcuni cardinali, come Egidio, Fregoso, ed Alecandro, erano dotti nelle sacre lingue, che allora si studiavano nei palazzi dei vescovi e nelle celle dei monaci. Non tutti furono desiderosi di arricchirsi dei tesori nascosti in quei libri, che a tutte le ore svolgevano, ed anche meno furono da quella lettura indotti a rinunziare un sistema, cui, fra gli altri secolari vantaggi, confessavano essere debitori della loro libertà letteraria.
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