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      Che il desiderio della riforma ecclesiastica in Italia fosse ardente e generale, come chiaro rilevasi dalla lettera dei Bolognesi, risulta pure da una misura adottata in quel momento dalla corte di Roma. Nel 1537 Paolo III, ripugnante a convocare un concilio generale, e incapace nel tempo stesso di eludere le infinite istanze di coloro, che lo domandavano, raccolse in Roma quattro cardinali, e cinque prelati. Questi furono i cardinali Contarini, Caraffa, Sadoleti, e Polo; Fregoso, arcivescovo di Salerno, Aleandro di Brindisi, e Giberto di Verona, Cortese, abbate di San Giorgio di Venezia, e Badia, maestro del sacro palazzo; e li incaricò di esporre avanti di lui, dopo un maturo esame, il loro parere sul miglior modo di riformare gli abusi della Chiesa. I membri di quella commissione, alcuni di quali erano i più rispettabili dignitari della Chiesa, si unirono per ciò, e presentarono l'uniforme loro opinione a Sua Santità. Quantunque quegli incaricati avessero toccate gentilmente le piaghe del corpo ecclesiastico, riconobbero bene che tanto il capo come le membra erano "infetti di una pestifera malattia, la quale, se subito non fosse curata, sarebbe riuscita fatale." Fra i mali che esigevano pronto rimedio, specificarono l'ammissione al presbiterato di persone incapaci, la [101] vendita dei benefizj, la disposizione di questi per testamento, la concessione delle dispense e delle esenzioni, l'unione dei vescovati e delle cariche incompatibili nella stessa persona di vescovo e cardinale.


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Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia nel secolo sedicesimo
di Thomas MacCrie
Tipogr. Lavagnino Genova
1858 pagine 449

   





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