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      Dirigendo la parola al supremo pontefice così incominciano: "Alcuni de' vostri predecessori, che prestavano facile orecchio, si sono fatti circondare da consiglieri disposti a secondare le loro passioni, e capaci di trovar delle ragioni atte a giustificare ciò che volevano si facesse; allontanandosi da quelli, che potevano istruirli su ciò, che avrebbero dovuto fare. Ed essi per adulazione, sofisticamente dimostravano al papa di essere egli assoluto padrone di tutti i benefizi, e di poterli perciò vendere senza colpa di simonia" (155). Nessuno, informato della politica della corte di Roma s'indurrà a credere, che seriamente si proponesse la riforma di quelli abusi. Il consiglio fu approvato e stampato per ordine di Paolo III; ma invece di metterlo in esecuzione, il papa lo trasgredì sfacciatamente in varie congiunture (156); nè i medesimi [102] consiglieri si mostrarono solleciti di provare cogli esempi le loro massime. Alcuni di essi, che erano vescovi e cardinali, conservarono la loro doppia carica. Il cardinale Pole non stimò necessario di deporre la porpora, quando diventò primato di tutta l'Inghilterra; e il cardinal Caraffa, quando montò sul trono papale col nome di Paolo IV, mise nella lista de' libri proibiti (157) il consiglio, che aveva dato al suo predecessore. I protestanti però non trascurarono questo documento. Essendo stata mandata in Germania una quantità di copie del consiglio (158), questo fu pubblicato in latino con una [103] epistola di prefazione, da Sturmio, rettore dell'accademia di Strasburgo; e in tedesco da Lutero, corredato di note, in cui, fra le altre satiriche osservazioni, espose come i cardinali si contentarono di tor via i piccoli ramoscelli, lasciando il tronco di corruzione libero dalle molestie, e, come gli antichi farisei cacciavano i moscerini, e inghiottivano i cammelli.


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Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia nel secolo sedicesimo
di Thomas MacCrie
Tipogr. Lavagnino Genova
1858 pagine 449

   





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