Ciò diede motivo a Melantone di scrivere, nel 1538, una lettera al senato, nella quale, esprime l'estrema sua soddisfazione per essere stato informato da Braccieti, Veneziano, ch'era andato a Wittemberg per studiare, ragguardevoli persone fra loro avevano come un'opinione favorevole alla riforma fatta in Germania degli abusi ecclesiastici. Dopo un breve giudizio delle prudenti misure adottate dai riformatori, e delle loro [113] premure per reprimere i tumulti popolari, ed evitare pericolose innovazioni, e dopo aver esposto alcune considerazioni per mostrare che erano state introdotte nella chiesa diverse corruzioni, il riformatore aggiunge: "Non deve sussistere una schiavitù tale da obbligarci ad approvare tutti gli errori di coloro che governano la chiesa; e agli uomini sapienti specialmente deve essere garantita la libertà di esprimere e d'insegnare le proprie opinioni. Siccome la vostra città è la sola nel mondo che gode di una vera aristocrazia, conservata per tante età, e sempre nemica della tirannia, così le conviene di proteggere la buona gente nella libertà di pensare, e di opporsi a quella ingiusta crudeltà altrove esercitata. Per conseguenza, non posso fare a meno di esortarvi a impiegare tutta la vostra cura, e autorità per fare esaltar sempre più la gloria divina, un servizio che è il più accetto a Dio.(176)" Se Venezia fosse a [114] quell'epoca stata trattata dalla corte di Roma nello stesso modo che fu trattata da questa sul principio del secolo XVII, è molto probabile che la repubblica si sarebbe dichiarata in favore della riforma; e in questo caso potrebbe oggidì godere della sua politica indipendenza, benchè non avesse riacquistata la sua antica gloria.
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