Fra questi ultimi furono Lelio Socino, Camillo Siculo, Francesco Niger, Ochino, Alciati, Gentili, e Biandrata. Questi scrittori sono giunti fino a presentarci come risultato delle loro ricerche, e discussioni, una confessione di fede, [177] o sistema di dottrina adittato dalle riunioni di Vicenza. (267).
Degli storici, noti per le loro ricerche, e penetrazione, hanno rigettato questa narrazione che, bisogna pur confessarlo, s'appoggia sopra un'autorità assai dubbia (268). Fu pubblicata, la prima volta, un secolo dopo il tempo a cui riferisce, e da forestieri o persone, assai lontane dalla sorgente, dove poteva attingersi il vero. Neppure una traccia è stata trovata dei così detti collegj vicentini, malgrado le più accurate indagini, o nella storia contemporanea d'Italia, o nelle lettere, ed altri scritti di sapienti uomini, papisti, protestanti, sociniani, che in appresso sono usciti alla luce. Neppure un'allusione è stata fatta a questo soggetto da Fausto Socino in alcuna parte delle sue [178] opere, nè dal cavalier Polacco, che scrisse la sua vita (269). L'ambizioso nome di collegj, applicato alle sopradette riunioni, è sospetto; mentre gli errori circa le persone che si dice averne fatto parte, danno aria a tutta la narrazione di un racconto fatto sopra indistinte e mal intese tradizioni. Ochino, Camillo, e Niger avevano lasciata l'Italia prima del tempo in cui si dice queste assemblee essere esistite; e le opere, che il primo di questi continuò a pubblicare, per molti anni dopo quel tempo si accordano esattamente coi sentimenti dei riformatori svizzeri.
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