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      Dall'altra parte v'è una lettera di Flaminio, in cui valorosamente difende, in opposizione del suo amico Carnesecchi, il dogma della presenza reale e dell'obblazione commemorativa di Cristo nell'eucarestia, e parla dei riformatori con molta bile (303). Per mettere [196] d'accordo queste notizie in apparenza contradditorie è necessario esaminare i diversi periodi della vita di Flaminio. Nella sua prima età, egli era versatissimo nella letteratura, come l'attestano i suoi poemi nella media età si dedicò alle Sacre Carte, fece della Scrittura la sua principale applicazione, e dalla meditazione delle cose divine ricavava ogni sua delizia. Fu in quel tempo, che compose la Parafrasi su i Salmi in versi e in prosa, e passò la sua vita in compagnia di Valdes, di Martire, della Duchessa di Ferrara e di altre persone date alla Riforma. Il terzo periodo della sua vita si estende dal tempo, in cui la corte di Roma adottò misure decisive per la soppressione della Riforma in Italia, fino all'anno 1550, in cui morì. La sua lettera sull'eucarestia, fu scritta immediatamente dopo che alcuni de' suoi amici erano stati costretti a fuggire dal loro paese nativo, per sottrarsi alle prigioni o ad una morte crudele. Il dolce e facile carattere di Flaminio era più adatto alla vita ascetica, che alle dispute e alla intolleranza. Come molti altri, non si era deciso a separarsi formalmente dalla Chiesa romana; e il destino di quei, che avevano rischiato [197] quel passo, non lo spingeva a quella, risoluzione; I suoi amici nel sacro collegio erano ansiosi di conservarlo a loro; e l'articolo della presenza reale, da cui molti protestanti non seppero distrigarsi, fu quello forse, che più imbarazzò la devota mente di Flaminio e lo decise a restare nella comunione di una Chiesa, la cui pubblica credenza non era d'accordo con alcuni sentimenti, ch'erano i più cari al suo cuore.


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Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia nel secolo sedicesimo
di Thomas MacCrie
Tipogr. Lavagnino Genova
1858 pagine 449

   





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