(317) I sentimenti di Giovanni Grimani, nobile Veneziano, patriarca di Aquileja, sono anche più degni d'osservazione. Un frate domenicano di Udine aveva offeso le orecchie de' devoti, insegnando in una predica, che gli eletti non possono essere dannati, ma che verranno assoluti dalle colpe, in cui possono cadere; e che la salvazione, o la dannazione dipende non dal libero arbitrio, ma dall'elezione, e dalla predestinazione. Il patriarca imprese [207] a difendere questa dottrina, prima con una lettera al generale de' domenicani, e poi in un trattato, che a bella posta scrisse su questo soggetto. Ciò accadde susseguentemente ai decreti del concilio di Trento, che aveva stabilito su questi punti la dottrina della Chiesa. Grimani in quel momento non fu tormentato per le sue opinioni; ma in seguito, avendo irritato il suo clero col tentare una riforma dei loro costumi, fu denunzialo agl'inquisitori; e precisamente in quel punto stesso, che Pio IV, a richiesta del senato di Venezia. era per promuoverlo alla porpora, fu accusalo di seguire gli errori di Calvino e Lutero sopra sette articoli. La repubblica di Venezia procurò dal papa un ordine di levare la causa dalle mani degl'inquisitori, e commetterla al giudizio de' Padri, che nell'anno 1563 erano ancora riuniti a Trento: questi, dopo un esame che durò ventiquattro giorni, alla fine conclusero, che gli scritti del patriarca non erano eretici, ma che non dovessero liberamente circolare, per cagione di alcuni punti difficili, di cui in quelli si trattava, e non spiegati con sufficiente esattezza; tanto grande era allora l'influenza del senato veneto presso papa, ed il concilio.
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