CAPITOLO QUINTOSOPPRESSIONE DELLA RIFORMA IN ITALIA
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Ai progressi, che nel 1542 facevano giornalmente in Italia le nuove opinioni, si spaventò seriamente la corte di Roma, e mise in attività tutte le sue forze per allontanare i pericoli, che la minacciavano. Il papa e i suoi consiglieri, occupati dalla politica estera e stimando di potere al primo momento estirpare un tal male avevano fino allora posto in non cale, come esagerate, le rimostranze, che su quest'oggetto loro venivano fatte o si contentavano col mandar fuori bolle inibitorie, e monitorj diretti ai vescovi delle città sospette; i quali venivano meno, per la poca cura de' magistrati locali, e per l'accortezza degli individui sospetti. Nel corso del suddetto anno, i preti e particolarmente i frati mossero da tutte le parti querele, per il pericolo, cui vedevano esposta la fede cattolica a causa dell'ardire de' riformatori, e per l'incremento delle riunioni secrete. Alla testa di questi ecclesiastici era Pietro Caraffa, detto comunemente il cardinal Teatino, da un'ordine di monaci, del quale era fondatore; prelato, che ebbe sempre alta pretensione alla santità, e che si distinse poi per la sua violenza, quando ascese [216] al trono col nome di Paolo IV. Egli sottopose alla considerazione del sacro collegio le scoperte da lui fatte sulla propagazione dell'eresia, che aveva messo radice a Napoli, e in molte altre parti dell'Italia, e li convinse della necessità di adottare le più forti, e le più spedite misure per abbatterla (328). Diffatti fu in primo luogo risoluto di procedere contro quegli ecclesiastici, che si sapevano esserne i fautori, fra i quali si distinguevano Martire, e Ochino; ma siccome questi godevano di molta popolarità, e non avevano ancora apertamente apostatato, furono dapprima circondali da spie, mentre cominciò ad istruirsi sulla loro passata condotta una secreta investigazione nell'intenzione di procurarsi prove autentiche delle loro eretiche opinioni.
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