A Roma, ogni giorno, qualcuno è bruciato, o impiccato, o decollato; tutte le prigioni, e i luoghi di detenzione, rigurgitano tanto, che il governo è obbligato di fabbricarne dei nuovi. Questa gran città non può fornire carceri abbastanza [306] per la quantità dei buoni cristiani che sono continuamente arrestati. Un'uomo illustre, chiamato Carnesecchi, già ambasciatore presso la corte di Toscana, è stato bruciato. Inoltre altre due persone, anche di maggior riguardo, Bernardo di Angole, e il conte di Petiliano, vero e eccellente Romano, stanno nelle carceri. Questi, sulla promessa, che sarebbero stati messi in libertà, dopo aver lungo tempo resistito s'indussero al fine a fare una ritrattazione; ma traditi dalla loro credulità, uno fu condannato a pagare una multa di ottanta mila scudi, e ad una prigione perpetua; l'altro a mille scudi, e alla detenzione in vita nel convento dei Gesuiti. Così hanno con la loro disonorevole diserzione comprato una vita peggior della morte
(453). Lo stesso scrittore riferisce l'aneddoto seguente, che mostra le vili cabale, che impiegava la romana inquisizione per atterrare le sue vittime. "Una lettera di Genova, a messer Bonetti, dice che un nobile e ricco Modanese, nel ducato di Ferrara, fu ultimamente accusato come eretico al papa, che, per impadronirsene, si servì della seguente frode. L'accusato aveva a Roma un cugino, che fu chiamato in Castel Sant'Angelo, e gli fu detto: Voi dovete morire, o scrivere al vostro cugino a Modena di trovarsi al giorno, alla tal'ora in Bologna, perchè dovete parlargli [307] di un'affare di somma importanza.
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