Dando un ragguaglio del suo viaggio da Cosenza a Napoli, egli dice: "Due de' nostri compagni sono stati indotti a ritrattarsi, ma non sono stati meglio trattati per questo; e Dio sa cosa soffriranno a Roma dove debbono esser tradotti, come Marquet, ed io medesimo. Il "buono" Spagnuolo, nostro conduttore, [319] voleva, che gli si desse del denaro per essere sciolti dalla catena, che ci legava l'uno all'altro; e intanto a me pose ancora un pajo di manette così strette, che m'entrarono nella carne, tanto che non mi fu possibile di prender sonno; e non le rimosse fintanto che non ebbe da me avuto tutto il denaro che aveva, consistente in due ducati necessari pel mio sostentamento. Nella notte, le bestie erano trattate meglio di noi, perchè si aveva cura di stendere la loro lettiera, mentre noi eravamo costretti a coricarci sulla nuda terra senza coperta alcuna, e in questa condizione si durò per nove notti. Giunti appena in Napoli, fummo gettati in una segreta estremamente malsana per l'umidità, e per la putrida respirazione de' carcerati." Suo fratello, ch'era venuto da Cuneo con lettere di raccomandazione, per ottenergli a qualunque sforzo la libertà, dà il seguente ragguaglio della prima visita; che con grandissima difficoltà potè fargli a Roma in presenza di un giudice dell'inquisizione: "Faceva orrore il vederlo, nudo il capo, piagate le braccia, e le mani da seganti funi con cui era tutto legato, come va appunto uno condotto al patibolo. Quando mi avanzai per abbracciarlo, io caddi a terra.
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