Abbiamo la testimonianza di uno storico papista, che consultò i registri dell'inquisizione, sulla fermezza, con cui Carnesecchi confessò i suoi sentimenti, "con un cuore il più indurito, e con le orecchie incirconcise, ricusò di cedere alla necessità delle sue circostanze, e rese inutili le ammonizioni, e gl'intervalli spesso reiterati, accordatigli a decidersi; di modo che non fu possibile, per quanti mezzi fossero messi in opera, d'indurlo ad abjurare i suoi errori, e tornare nel grembo della vera religione, come Pio desiderava, il quale aveva risoluto, se si pentiva, di punire i suoi passati delitti molto [328] più dolcemente di quello che meritava"(476). Noi non crediamo di trasgredire le leggi di carità se supponiamo, che gl'inquisitori lo tennero in carcere quindici mesi nell'intenzione di aver la gloria di annunziare in lui un penitente, e che niuna confessione l'avrebbe mai salvato dalla pena capitale. Nel dì 5 ottobre 1567 fu decapitato, e gettato alle fiamme (477).
Barbara è stata veramente la politica della Chiesa romana di distruggere la fama, per altro ben meritata, e di abolire, se fosse stato possibile, la memoria, e cancellare gli stessi nomi di coloro, le cui vite furono spente per cagion d'eresia. Quando si considera che Flaminio non isfuggì altrimenti a questa occulta censura, e che fu il suo nome cancellato dalle lettere pubblicate dopo la sua morte, quantunque non convinto mai formalmente d'eresia, e avesse degli amici [329] nel sacro collegio, non dobbiamo meravigliarsi, che il nome di Carnesecchi abbia subito la stessa sorte (478). Il soggetto è interessante, e non disconviene l'addurne uno, o due esempi, Il celebre Mureto stava pubblicando un'opera, che aveva per oggetto un poema in lode di Carnesecchi.
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