La franca eloquenza di Paleario, sostenuta dal suo spirito nobile, e sublime, potè facilmente farlo trionfare del suo indegno rivale, che diffamato poi, e cacciato fuori della città cercò vendetta presso i domenicani di Roma. Peraltro Paleario prevalendosi dell'influenza de' suoi amici, nel sacro collegio, fece restare senza effetto le informazioni del suo accusatore, le quali però furono contro di lui prodotte in un'epoca posteriore(484). Intanto il suo spirito si piegava con ripugnanza all'occupazione servile d'insegnar le lingue, e il suo stipendio non corrispondeva ad un discreto mantenimento della casa, al quale poteva pretendere sua moglie, ch'era stata molto ben nata(485). Per tali circostanze, dopo essere restato dieci anni a Lucca, accettò l'offerta del senato di Milano, che gli assegnò, conferendogli la carica di professore di eloquenza, uno stipendio assai più generoso, e delle speciali [334]immunità(486). Per ben sette anni tenne quella carica, sempre al traverso di grandi pericoli, e fra le sevizie, che si praticavano verso coloro, ch'erano sospetti di favorire le nuove opinioni. Finalmente nell'anno 1566, mentre stava deliberando intorno il suo estabilirsi a Bologna(487), fu colpito dalla tempesta, che scoppiò sul capo di tanti dotti, e illustri uomini, quando montò Pio V sul seggio pontificale. Arrestato dall'inquisitore frate Angelo di Cremona, Paleario fa condotto a Roma, e rinchiuso sotto stretta custodia in Tordinona. Il suo libro sul Beneficio della morte di Cristo, i suoi elogi di Ochino (488), la sua apologia avanti i senatori di Siena, e i sospetti che si erano a suo carico suscitati in tempo della sua residenza colà, e a Lucca, furono tutti riprodotti contro di lui.
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