A questo falso concepimento dobbiamo il seguente ragguaglio sulla condotta di Paleario tenuta nel suo giudizio avanti ai cardinali dell'inquisizione. Quando vide, che non poteva produrre nulla in difesa della sua iniquità (dice l'annalista testè citato) preso dalla rabbia proruppe in questi termini: "Se l'Eminenze Vostre sono persuase di aver contro di me tante buone pruove, non è necessario di recare a loro stesse ed a me più lungo tedio. Io sono risoluto di agire secondo il consiglio del santo apostolo Pietro, quando dice, che Cristo soffrì per noi, lasciandoci un esempio, affinchè noi seguissimo i suoi passi; Cristo il quale non fece il male, nè l'inganno si trovò mai nella sua bocca, il quale, quando fu ingiuriato non ingiuriò, quando soffrì non minacciò ma affidò se stesso a lui che giudica con giustizia. Procedete dunque al [337] giudizio, pronunciate la sentenza sopra Aonio, e date così piacere ai suoi nemici; compite il vostro officio"(494). Invece di supporre, che la persona che proferì queste parole fosse mossa da una passione, ogni lettore di giusto sentire, si sentirà obbligato di esclamare: "Questa è la pazienza, e la fede dei santi!" Prima di lasciare la prigione per andare al luogo dell'esecuzione, gli fu permesso di scrivere due lettere, una a sua moglie, e l'altra a suoi figli Lampridio, e Fedro(495). Le lettere sono brevi, ma appunto perciò commoventi. Senza dubbio egli, nello scrivere, era tenuto a freno dal timore di offendere i giudici, che avrebbero potuto sopprimere le lettere, o eccitare un duro trattamento verso la sua famiglia, dopo la sua morte.
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