Siccome per via di lettere veniva accertato che per lui non v'era speranza di poter tornare alla patria, nè di ricever soccorso dal padre, a meno che non avesse ritrattate le sue opinioni, scelse per suo domicilio Ginevra dove prese moglie e divenne un lavoratore di sete. Alla fine dell'anno 1567 per affari di commercio portossi a Genova; diede imprudentemente [342] il suo vero nome ad un mercante, e fu arrestato dall'inquisizione. I magistrati di Ginevra e di Berna spedirono alla repubblica di Genova per domandare la sua liberazione; ma prima che il messo giungesse, il prigioniero era stato trasportato a Roma dietro la richiesta del papa. Dopo aver sofferta una prigionia di quasi due anni fu condannato ad esser bruciato vivo. Il coraggio che mostrò Bartoccio in tutte le sue pene, non lo abbandonò neppure nella ora del fatale cimento. Camminò fino al luogo dell'esecuzione con piè fermo e tranquillo aspetto; e si udiva distintamente proferire il grido di Vittoria! Vittoria! anche in mezzo alle fiamme, che lo consumavano (506).
È tempo ormai di por termine a questa dolorosa parte della nostra narrazione; basti dire che per tutto quel secolo in Italia, e specialmente in Roma le prigioni dell'inquisizione furono piene di vittime d'ogni specie, nobili, ignobili, maschi, femmine, meccanici, letterati. Moltissimi furono condannati alla penitenza, alla galera e ad altre pene ad arbitrio, e di tratto in tratto alla morte. Molti detenuti erano esteri venuti in Italia, o in Roma per affari, o ad oggetto di viaggiare per istruirsi.
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