Un potere dommatico, che vuol dominare solo, non può amare se non un potere politico, che gli rassomigli. Questo pretende servi obbedienti, e quello glieli forma ne' suoi [496] sommessi credenti. L'uno vuol vassalli senza replica, l'altro devoti senza scrutinio; e perciò l'uno sostiene l'altro. Quindi si osserva una scambievole antipatia invincibile, anzi un vicendevole distruggersi inevitabile, fra il cattolicismo, e il liberalismo. Nè può essere a meno, poichè ognuno dei due sente che essi sono elementi opposti come l'acqua e il fuoco e qualunque dei due è più forte, finisce sempre con sopraffar l'altro. Lasciando stare gl'esempi antichi dell'Inghilterra, e della Svizzera, da cui il desiderio di miglior governo fè espellere il vecchio culto, e l'esempio recentissimo della Spagna, e il Portogallo in cui accadde il contrario, noi ne abbiamo uno quasi attuale in Francia nel corso di pochi anni; gesuiti esaltati, e liberali depressi; questi su, e quelli giù. La cagione di ciò è così chiara, che non è d'uopo d'esprimerla. Se un popolo, o per elezione, o per destino rimane cattolico, bisogna pure che rinunzi a qualunque disegno di libero governo; e se vuole, e può ottener questo bisogna che il suo antagonista abbassi le ali. L'uno esclude l'altro, e Roma lo sa. Alla nuova inaspettata de' famosi tre giorni di luglio, la corte papale concepì costernazione, e tristezza, e mentre il liberalismo esultava in Parigi, il cattolicismo sospirava in Roma; onde Pasquino e Marforio fecero quelle piacevoli chiacchiere, che noi qui ripeteremo:
| |
Inghilterra Svizzera Spagna Portogallo Francia Roma Parigi Roma Pasquino Marforio
|