E l'avrebbe senza alcun dubbio attaccato, se i principi Italiani non avessero potuto ottenere con le loro intercessioni di fargli perdonare mediante la sottomissione" (Rzovii Annal. ad ann. 1556).
(577) De Porta, II, 297 299.
(578) Ibid., p. 302-304.
(579) De Porta, II, 364-371.
(580) La prova la più convincente di tali modi di procedere risulta da una lettera del cardinale del 24 maggio 1584 al nunzio Spezzani, pubblicata da Quadrio storico cattolico della Valtellina e ristampata da de Porta (T. II, P. II, p. 33, 35, Conf. P. I, p. 454, 482).
(581) De Porta, II, 455, 461, 482.
(582) Gabuzio, nella vita di Pio IV dà la risposta del duca in questi termini: "Che il papa ha un assoluto, e legittimo potere in tutte le parti del mondo, di arrestare, quantunque volte gli piaccia, gli eretici, e infligger loro i meritati gastighi." (Laderchii Annal., t. XXXIII, p. 6, 198).
(583) Laderchius, ut supra. De Porta, II, 464-476. Il primo di questi scrittori riporta, presa dai Registri dell'Inquisizione, la sentenza, che condanna Cellario ad esser bruciato vivo. Gabuzio dice, che egli ritrattò, quando si vide in faccia il fuoco. De porta sostiene al contrario che uno nativo dei Grigioni che era in Roma, e fu testimonio dell'esecuzione, depose, che il martire fu tratto fuori dal palo ardente per indurlo alla ritrattazione: ma persistendo nel rifiuto, fu di nuovo gettato alle fiamme. Cellario era un frate dei minori osservanti, e fu due volte imprigionato a Pavia. La prima volta fu liberato, attesa qualche confessione; la seconda infranse le catene, e fuggì tra i Grigioni nell'anno 1558.
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