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      La quale cosa parve al Senato ed a' più savi Romani tanto inutile e tanto dannosa, che liberamente dicevano, essere più tosto per patire la morte che consentire a una tale diliberazione. In modo che, venendo questa cosa in disputa, si accese tanto la plebe contro al Senato, che si sarebbe venuto alle armi ed al sangue, se il Senato non si fusse fatto scudo di alcuni vecchi ed estimati cittadini, la riverenza de' quali frenò la plebe, che la non procedé più avanti con la sua insolenzia. Qui si hanno a notare due cose. La prima che il popolo molte volte, ingannato da una falsa immagine di bene, disidera la rovina sua; e se non gli è fatto capace, come quello sia male, e quale sia il bene, da alcuno in chi esso abbia fede, si porta in le republiche infiniti pericoli e danni. E quando la sorte fa che il popolo non abbi fede in alcuno, come qualche volta occorre, sendo stato ingannato per lo addietro o dalle cose o dagli uomini, si viene alla rovina, di necessità. E Dante dice a questo proposito, nel discorso suo che fa De Monarchia, che il popolo molte volte grida Viva la sua morte! e Muoia la sua vita! Da questa incredulità nasce che qualche volta in le republiche i buoni partiti non si pigliono: come di sopra si disse de' Viniziani, quando, assaltati da tanti inimici, non poterono prendere partito di guadagnarsene alcuno con la restituzione delle cose tolte ad altri (per le quali era mosso loro la guerra, e fatta la congiura de' principi loro contro), avanti che la rovina venisse.


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Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
di Niccolò Machiavelli
pagine 427

   





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