Io voglio addurre, a questo proposito, ancora uno altro esemplo romano. Era stato Annibale in Italia otto o dieci anni, aveva ripieno di occisione de' Romani tutta questa provincia, quando venne in Senato Marco Centenio Penula, uomo vilissimo (nondimanco aveva avuto qualche grado nella milizia), ed offersesi, che, se gli davano autorità di potere fare esercito d'uomini volontari in qualunque luogo volesse in Italia, ei darebbe loro, in brevissimo tempo, preso o morto Annibale. Al Senato parve la domanda di costui temeraria; nondimeno, ei, pensando, che s'ella se gli negasse e nel popolo si fusse dipoi saputa la sua chiesta, che non ne nascesse qualche tumulto, invidia e mal grado contro all'ordine senatorio, gliene concessono: volendo più tosto mettere a pericolo tutti coloro che lo seguitassono, che fare surgere nuovi sdegni nel popolo; sapendo quanto simile partito fusse per essere accetto, e quanto fusse difficile il dissuaderlo. Andò, adunque, costui con una moltitudine inordinata ed incomposta a trovare Annibale; e non gli fu prima giunto all'incontro, che fu, con tutti quegli che lo seguitarono, rotto e morto.
In Grecia, nella città di Atene, non potette mai Nicia, uomo gravissimo e prudentissimo, persuadere a quel Popolo che non fusse bene andare a assaltare Sicilia; talché, presa quella diliberazione contro alla voglia de' savi, ne seguì al tutto la rovina di Atene. Scipione, quando fu fatto consolo, e che desiderava la provincia di Africa, promettendo al tutto la rovina di Cartagine, a che non si accordando il Senato per la sentenzia di Fabio Massimo, minacciò di proporla nel Popolo, come quello che conosceva benissimo quanto simili diliberazioni piaccino a' popoli.
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