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      E detto che Tito Livio ha tutti e' sopradetti disordini, conchiude dicendo: «Adeo obcaecat animos fortuna, cum vim suam ingruentem refringi non vult». Né può più essere vera questa conclusione: onde gli uomini che vivono ordinariamente nelle grandi avversità o prosperità, meritano manco laude o manco biasimo. Perché il più delle volte si vedrà quelli a una rovina ed a una grandezza essere stati convinti da una commodità grande che gli hanno fatto i cieli, dandogli occasione, o togliendogli, di potere operare virtuosamente.
      Fa bene la fortuna questo, che la elegge uno uomo, quando la voglia condurre cose grandi, che sia di tanto spirito e di tanta virtù, che ei conosca quelle occasioni che la gli porge. Così medesimamente, quando la voglia condurre grandi rovine, ella vi prepone uomini che aiutino quella rovina. E se alcuno fusse che vi potesse ostare, o la lo ammazza o la lo priva di tutte le facultà da potere operare alcuno bene. Conoscesi questo benissimo per questo testo, come la fortuna, per fare maggiore Roma, e condurla a quella grandezza venne, giudicò fussi necessario batterla (come a lungo nel principio del seguente libro discorrereno), ma non volle già in tutto rovinarla. E per questo si vede che la fece esulare, e non morire, Cammillo; fece pigliare Roma, e non il Campidoglio; ordinò che i Romani, per riparare Roma, non pensassono alcuna cosa buona; per difendere poi il Campidoglio, non mancarono di alcuno buono ordine. Fece, perché Roma fusse presa, che la maggior parte de' soldati che furono rotti a Allia, se ne andorono a Veio; e così, per la difesa della città di Roma, tagliò tutte le vie.


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Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
di Niccolò Machiavelli
pagine 427

   





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