D'onde nasce che diventano insopportabili ed odiosi a tutti coloro che gli hanno intorno. Da che poi depende la subita variazione della sorte; la quale come veggono in viso, caggiono subito nell'altro difetto, e diventano vili ed abietti. Di qui nasce che i principi così fatti pensano nelle avversità più a fuggirsi che a difendersi, come quelli che, per avere male usata la buona fortuna, sono ad ogni difesa impreparati.
Questa virtù, e questo vizio, che io dico trovarsi in un uomo solo, si truova ancora in una republica, ed in esemplo ci sono i Romani ed i Viniziani. Quelli primi, nessuna cattiva sorte gli fece mai diventare abietti né nessuna buona fortuna gli fece mai essere insolenti; come si vide manifestamente dopo la rotta ch'egli ebbero a Canne, e dopo la vittoria ch'egli ebbero contro a Antioco; perché, per quella rotta, ancora che gravissima per essere stata la terza, non invilirono mai; e mandarono fuori eserciti; non vollono riscattare i loro prigioni contro agli ordini loro; non mandarono ad Annibale o a Cartagine a chiedere pace: ma, lasciate stare tutte queste cose abiette indietro, pensarono sempre alla guerra armando, per carestia di uomini, i vecchi ed i servi loro. La quale cosa conosciuta da Annone cartaginese, come di sopra si disse, mostrò a quel Senato quanto poco conto si aveva a tenere della rotta di Canne. E così si vide come i tempi difficili non gli sbigottivono, né gli rendevono umili. Dall'altra parte, i tempi prosperi non gli facevano insolenti: perché, mandando Antioco oratori a Scipione, a chiedere accordo, avanti che fussono venuti alla giornata, e ch'egli avesse perduto Scipione gli dette certe condizioni della pace; quali erano, che si ritirasse dentro alla Soria, ed il resto lasciasse nello arbitrio del Popolo romano.
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