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      Sempre che io ho potuto onorare la patria mia, eziandio con mio carico e pericolo, l'ho fatto volentieri; perché l'uomo non ha maggiore obbligo nella vita sua che con quella, dependendo prima da essa l'essere e, di poi, tutto quello che di buono la fortuna e la natura ci hanno conceduto; e tanto viene a esser maggiore in coloro che hanno sortito patria più nobile. E veramente colui il quale con l'animo e con le opere si fa nimico della sua patria, meritamente si può chiamare parricida, ancora che da quella fosse suto offeso. Perché, se battere il padre e la madre, per qualunque cagione, è cosa nefanda, di necessità ne seguita il lacerare la patria essere cosa nefandissima, perché da lei mai si patisce alcuna persecuzione per la quale possa meritare di essere da te ingiuriata, avendo a riconoscere da quella ogni tuo bene; talché, se ella si priva di parte de' suoi cittadini, sei piuttosto obbligato ringraziarla di quelli che la si lascia, che infamarla di quelli che la si toglie. E quando questo sia vero (che è verissimo) io non dubito mai di ingannarmi per difenderla e venire contro a quelli che troppo presuntuosamente cercano di privarla dell'onor suo.
      La cagione per che io abbia mosso questo ragionamento, è la disputa, nata più volte ne' passati giorni, se la lingua nella quale hanno scritto i nostri poeti e oratori fiorentini, è fiorentina, toscana o italiana. Nella qual disputa ho considerato come alcuni, meno inonesti, vogliono che la sia toscana; alcuni altri, inonestissimi, la chiamono italiana; e alcuni tengono che la si debba chiamare al tutto fiorentina; e ciascuno di essi si è sforzato di difendere la parte sua; in forma che, restando la lite indecisa, mi è parso in questo mio vendemmiale negozio scrivervi largamente quello che io ne senta, per terminare la quistione o per dare a ciascuno materia di maggior contesa.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17