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      Io non voglio, in quanto s'appartenga al Petrarca e al Boccaccio, replicare cosa alcuna, essendo l'uno in nostro favore e l'altro stando neutrale ma mi fermerò sopra di Dante; il quale in ogni parte mostrò d'essere, per ingegno, per dottrina e per giudizio, uomo eccellente, eccetto che dove egli ebbe a ragionare della patria sua; la quale, fuori d'ogni umanità e filosofico instituto, perseguitò con ogni specie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vizio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi e delle leggi di lei; e questo fece non solo in una parte della sua Cantica, ma in tutta, e diversamente e in diversi modi; tanto l'offese l'ingiuria dell'esilio! tanta vendetta ne desiderava! e però ne fece tanta quanta egli poté. E se per sorte, de' mali ch'egli li predisse, le ne fusse accaduto alcuno, Firenze arebbe più da dolersi d'aver nutrito quell'uomo che d'alcuna altra sua rovina. Ma la fortuna, per farlo mendace e per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata, e fatta celebre per tutte le provincie del mondo, e condotta al presente in tanta felicità e sì tranquillo stato che, se Dante la vedessi, o egli accuserebbe se stesso o, ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe, essendo risuscitato, di nuovo morire. Non è, pertanto, maraviglia se costui, che in ogni cosa accrebbe infamia alla sua patria, volse ancora nella lingua torle quella riputazione la quale pareva a lui d'averle data ne' suoi scritti; e per non l'onorare in alcun modo compose quell'opera, per mostrar quella lingua nella quale egli aveva scritto non esser fiorentina.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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