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      Il che tanto se li debbe credere, quanto ch'ei trovassi Bruto in bocca di Lucifero maggiore, e cinque cittadini fiorentini intra i ladroni, e quel suo Cacciaguida in Paradiso, e simili sue passioni e opinioni; nelle quali fu tanto cieco, che perse ogni sua gravità, dottrina e giudicio, e divenne al tutto un altro uomo; talmente che, s'egli avessi giudicato così ogni cosa, o egli sarebbe vivuto sempre a Firenze o egli ne sarebbe stato cacciato per pazzo.
      Ma perché le cose che s'impugnano per parole generali o per conietture possono essere facilmente riprese, io voglio, a ragioni vive e vere, mostrare come il suo parlare è al tutto fiorentino, e più assai che quello che il Boccaccio confessa per se stesso esser fiorentino, e in parte rispondere a quelli che tengono la medesima opinione di Dante.
      Parlare comune d'Italia sarebbe quello dove fussi più del comune che del proprio d'alcuna lingua; e similmente, parlar proprio fia quello dove è più del proprio che di alcuna altra lingua; perché non si può trovare una lingua che parli ogni cosa per sé senza avere accattato da altri, perché, nel conversare gli uomini di varie provincie insieme, prendono de' motti l'uno dell'altro.
      Aggiugnesi a questo che, qualunque volta viene o nuove dottrine in una città o nuove arti, è necessario che vi venghino nuovi vocaboli, e nati in quella lingua donde quelle dottrine o quelle arti son venute; ma riducendosi, nel parlare, con i modi, con i casi, con le differenze e con gli accenti, fanno una medesima consonanza con i vocaboli di quella lingua che trovano, e così diventano suoi; perché, altrimenti, le lingue parrebbono rappezzate e non tornerebbono bene.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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