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      N. Quando tu di' ne' tuoi versi:
     
      E quando il dente longobardo morse,
     
      che vuol dire quel "morse'?
     
      D. Punse, offese e assaltò: che è una translazione dedotta da quel mordere che dicono i Fiorentini.
      N. Adunque parli tu in fiorentino, e non cortigiano.
      D. Egli è vero in maggior parte; pure, io mi riguardo di non usare certi vocaboli nostri proprii.
      N. Come te ne riguardi? Quando tu di':
     
      Forte spingava con ambe le piote,
     
      questo spingare che vuol dire?
     
      D. In Firenze s'usa dire, quando una bestia trae de' calci: ella spinga una coppia di calci; e perché io volsi mostrare come colui traeva de' calci, dissi spingava.
      N. Dimmi: tu di' ancora, volendo dire le gambe,
     
      E quello che piangeva con le zanche,
     
      perché lo di' tu?
     
      D. Perché in Firenze si chiamono zanche quelle aste sopra le quali vanno gli spiritelli per san Giovanni, e perché allora e' l'usano per gambe; e io, volendo significare gambe, dissi zanche.
      N. Per mia fe', tu ti guardi assai bene dai vocaboli fiorentini! Ma dimmi: più in là, quando tu di':
     
      Non prendete, mortali, i voti a ciancie
     
      perché di' tu ciancie come i Fiorentini e non zanze come i Lombardi, avendo detto vosco e co del ponte?
      D. Non dissi zanze per non usare un vocabolo barbaro come quello; ma dissi co e vosco, sì perché non sono vocaboli sì barbari, sì perché in una opera grande è lecito usare qualche vocabolo esterno; come fe' Virgilio, quando disse:


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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