Troia gaza per undas.
N. Sta bene, ma fu egli per questo che Virgilio non scrivesse in latino?
D. No.
N. E così tu ancora per aver detto co e vosco, non hai lasciata la tua lingua. Ma noi facciamo una disputa vana, perché nella tua opera tu medesimo in più luoghi confessi di parlare toscano e fiorentino. Non di' tu di uno che ti sentì parlare nell'Inferno:
Ed ei ch'intese la parola tosca?
e altrove, in bocca di Farinata, parlando egli teco:
La tua loquela ti fa manifestodi quella nobil patria natio,
alla quale forse fui troppo molesto?
D. Egli è vero ch'io dico tutto quanto cotesto.
N. Perché di', dunque, di non parlar fiorentino? Ma io ti voglio convincere coi libri in mano e con il riscontro; e però leggiamo questa tua opera e il Morgante. Leggi su.
D. Nel mezzo del cammin di nostra vitami ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
N. E' basta. Leggi un poco ora il Morgante.
D. Dove?
N. Dove tu vuoi. Leggi costì a caso.
D. Ecco:
Non chi comincia ha meritato, è scrittonel tuo santo Vangel, benigno Padre.
N. Or ben, che differenza è da quella tua lingua a questa?
D. Poca.
N. Non mi ce ne par veruna.
D. Qui è pur non so che.
N. Che cosa?
D. Quel chi è troppo fiorentino.
N. Tu farai a ridirti: o non di' tu:
Io non so chi tu sia, né per qual modovenuto sei quaggiù, ma fiorentino...?
D. Egli è il vero; e io ho il torto.
N. Dante mio, io voglio che tu t'emendi e che tu consideri meglio il parlar fiorentino e la tua opera, e vedrai che se alcuno s'arà da vergognare, sarà piuttosto Firenze che tu; perché se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo, come è quello:
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Sta Virgilio Inferno Farinata Morgante Morgante Vangel Padre Dante Firenze
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