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      Poi ci partimmo, e n'andavamo introcque;
     
      non hai fuggito il porco, com'è quello:
     
      Che merda fa di quel che si trangugia;
     
      non hai fuggito l'osceno, come è:
     
      Le mani alzò con ambedue le fiche; e
     
      non avendo fuggito questo che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi aver fuggito infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella, perché l'arte non può mai in tutto repugnare alla natura. Oltre di questo, io voglio che tu consideri come le lingue non possono esser semplici, ma conviene che sieno miste con l'altre lingue. Ma quella lingua si chiama d'una patria, la quale convertisce i vocaboli ch'ella ha accattati da altri nell'uso suo, ed è sì potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro; perché quello ch'ella reca da altri, lo tira a sé in modo che par suo. E gli uomini che scrivono in quella lingua, come amorevoli di essa, debbono far quello ch'hai fatto tu, ma non dir quello ch'hai detto tu; perché, se tu hai accattato da' Latini e da' forestieri assai vocaboli, se tu n'hai fatti de' nuovi, hai fatto molto bene; ma tu hai ben fatto male a dire che per questo ella sia diventata un'altra lingua. Dice Orazio:
     
      ... quum lingua Catonis et Ennî
      sermonem patrium ditaverit;
     
      e lauda quelli come li primi che cominciorno ad arricchire la lingua latina. I Romani negli eserciti loro non avevono più che due legioni di Romani, quali erono circa dodicimila persone, e di poi vi avevano ventimila dell'altre nazioni; nondimeno, perché quelli erano con li loro capi il nervo dell'esercito, perché militavono tutti sotto l'ordine e disciplina romana, teneano quelli eserciti il nome, l'autorità e dignità romana.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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