Restato adunque il popolo vincitore, per conforto di coloro che amavano il bene della republica, si deliberò di riunire la città e richiamare tutti i cittadini, così ghibellini come guelfi, i quali si trovassero fuora. Tornorono adunque i Guelfi, sei anni dopo che gli erano stati cacciati, e a' Ghibellini ancora fu perdonata la fresca ingiuria, e riposti nella patria loro. Non di meno da il popolo e dai Guelfi erano forte odiati, perché questi non potevono cancellare della memoria lo esilio, e quello si ricordava troppo della tirannide loro mentre che visse sotto il governo di quelli; il che faceva che né l'una né l'altra parte posava l'animo. Mentre che in questa forma in Firenze si viveva, si sparse fama che Curradino nipote di Manfredi, con gente, veniva della Magna allo acquisto di Napoli; donde che i Ghibellini si riempierono di speranza di potere ripigliare la loro autorità, e i Guelfi pensavano come si avessero ad assicurare delli loro nimici e chiesono al re Carlo aiuti per potere, passando Curradino, difendersi. Venendo per tanto le genti di Carlo, feciono diventare i Guelfi insolenti, e in modo sbigottirono i Ghibellini, che duoi giorni avanti allo arrivare loro, senza essere cacciati, si fuggirono.
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Partiti i Ghibellini, riordinorono i Fiorentini lo stato della città; ed elessono dodici capi, i quali sedessero in magistrato duoi mesi, i quali non chiamorono Anziani, ma Buoni uomini; apresso a questi uno consiglio di ottanta cittadini, il quale chiamavano la Credenza; dopo questo erano cento ottanta popolani, trenta per sesto, i quali, con la Credenza e dodici Buoni uomini, si chiamavano il Consiglio generale.
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