Mosso per tanto da queste passioni, pensò di adonestare con una onesta cagione la disonestà dello animo suo; e calunniava molti cittadini i quali avevano amministrati danari publici, come se gli avessero usati ne' privati commodi; e che gli era bene ritrovargli e punirgli. Questa sua opinione da molti, che avevano il medesimo desiderio che quello, era seguita; a che si aggiugneva la ignoranzia di molti altri, i quali credevano messer Corso per amore della patria muoversi. Dall'altra parte i cittadini calunniati, avendo favore nel popolo, si difendevano; e tanto transcorse questo disparere, che, dopo ai modi civili, si venne alle armi. Dall'una parte era messer Corso e messer Lottieri vescovo di Firenze, con molti Grandi e alcuni popolani; dall'altra erano i Signori, con la maggiore parte del popolo: tanto che in più parti della città si combatteva. I Signori, veduto il pericolo grande nel quale erano, mandorono per aiuto ai Lucchesi; e subito fu in Firenze tutto il popolo di Lucca; per l'autorità del quale si composono per allora le cose e si fermorono i tumulti; e rimase il popolo nello stato e libertà sua, sanza altrimenti punire i motori dello scandolo. Aveva il Papa inteso i tumulti di Firenze, e per fermargli vi mandò messer Niccolao da Prato suo legato. Costui, sendo uomo, per grado, dottrina e costumi, di grande riputazione, acquistò subito tanta fede che si fece dare autorità di potere uno stato a suo modo fermare; e perché era di nazione ghibellino, aveva in animo ripatriare gli usciti; ma volse prima guadagnarsi il popolo; e per questo rinnovò le antiche Compagnie del popolo; il quale ordine accrebbe assai la potenza di quello, e quella de' Grandi abbassò. Parendo per tanto al Legato aversi obligata la moltitudine, disegnò di fare tornare i fuori usciti, e nel tentare varie vie, non solamente non gliene successe alcuna, ma venne in modo a sospetto a quelli che reggevano, che fu costretto a partirsi; e pieno di sdegno se ne tornò al Pontefice, e lasciò Firenze piena di confusione e interdetta.
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