Fece ancora tagliare la lingua con tanta crudeltà a Bettone Cini che se ne morì, per aver biasimate le taglie che a' cittadini si ponevano: la qual cosa accrebbe a' cittadini lo sdegno e al Duca l'odio; perché quella città che a fare e parlare d'ogni cosa e con ogni licenza era consueta, che gli fussono legate le mani e serrata la bocca sopportare non poteva. Crebbono adunque questi sdegni in tanto e questi odi, che, non che i Fiorentini, i quali la libertà mantenere non sanno e la servitù patire non possono, ma qualunque servile popolo arebbono alla recuperazione della libertà infiammato. Onde che molti cittadini, e di ogni qualità, di perdere la vita o di riavere la loro libertà deliberorono; e in tre parti, di tre sorte di cittadini, tre congiure si feciono: Grandi, popolani e artefici; mossi, oltre alle cause universali, da parere ai Grandi non avere riavuto lo stato, a' popolani averlo perduto, e agli artefici de' loro guadagni mancare. Era arcivescovo di Firenze messer Agnolo Acciaiuoli, il quale con le prediche sue aveva già le opere del Duca magnificato e fattogli appresso al popolo grandi favori: ma poi che lo vide signore, e i suoi tirannici modi cognobbe, gli parve avere ingannato la patria sua; e per emendare il fallo commesso, pensò non avere altro rimedio se non che quella mano che aveva fatta la ferita la sanasse; e della prima e più forte congiura si fece capo; nella quale erano i Bardi, Rossi, Frescobaldi, Scali, Altoviti, Magalotti, Strozzi e Mancini. Dell'una delle due altre erano principi messer Manno e Corso Donati; e con questi i Pazzi, Cavicciuli, Cerchi e Albizzi.
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