Intra i confinati furono quasi che tutti gli Alberti; furono ancora di molti artefici ammuniti e morti, onde che, per le tante ingiurie, le Arti e popolo minuto si levò in arme, parendogli che fusse tolto loro l'onore e la vita. Una parte di costoro vennero in Piazza un'altra corse a casa messer Veri de' Medici, il quale, dopo la morte di messer Salvestro, era di quella famiglia rimasto capo. A quelli che vennero in Piazza i Signori, per addormentargli, dierono per capi, con le insegne di parte guelfa e del popolo in mano, messer Rinaldo Gianfigliazzi e messer Donato Acciaiuoli, come uomini, de' popolani, più alla plebe che alcuni altri accetti. Quelli che corsono a casa messer Veri lo pregavano che fusse contento prendere lo stato e liberargli dalla tirannide di quelli cittadini che erano de' buoni e del bene comune destruttori. Accordansi tutti quelli che di questi tempi hanno lasciata alcuna memoria che, se messer Veri fusse stato più ambizioso che buono, poteva sanza alcuno impedimento farsi principe della città; perché le gravi ingiurie che, a ragione e a torto, erano alle Arti e agli amici di quelle state fatte avevano in maniera accesi gli animi alla vendetta, che non mancava, a sodisfare ai loro appetiti, altro che un capo che gli conducesse. Né mancò chi ricordasse a messer Veri quello che poteva fare, perché Antonio de' Medici, il quale aveva tenuto seco più tempo particulare inimicizia, lo persuadeva a pigliare il dominio della republica. Al quale messer Veri disse: - Le tue minacce, quando tu mi eri inimico, non mi feciono mai paura, né ora che tu mi sei amico mi faranno male i tuoi consigli; - e rivoltosi alla moltitudine, gli confortò a fare buono animo, per ciò che voleva essere loro defensore, purché si lasciassero da lui consigliare.
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