Valse non di meno più l'autorità di quelli che si volevono preparare alla guerra, che quella di coloro che volevono ordinarsi alla pace; e creorono i Dieci, soldorono gente e posono nuove gravezze. Le quali, perché le aggravavano più i minori che i maggiori cittadini, empierono la città di rammarichii; e ciascuno dannava l'ambizione e l'avarizia de' potenti, accusandogli che, per sfogare gli appetiti loro e opprimere, per dominare, il popolo, volevono muovere una guerra non necessaria.
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Non si era ancora venuto con il Duca a manifesta rottura; ma ogni cosa era piena di sospetto, perché Filippo aveva, a richiesta del legato di Bologna, il quale temeva di messer Antonio Bentivogli, che fuori uscito si trovava a Castel Bolognese, mandate genti in quella città; le quali, per essere propinque al dominio di Firenze, tenevono in sospetto lo stato di quella. Ma quello che fece più spaventare ciascuno, e dette larga cagione di scoprire la guerra, fu la impresa, che il Duca fece, di Furlì. Era signore di Furlì Giorgio Ordelaffi, il quale, venendo a morte, lasciò Tibaldo suo figliuolo sotto la tutela di Filippo; e benché la madre, parendogli il tutore sospetto, lo mandasse a Lodovico Alidosi suo padre, che era signore di Imola, non di meno fu forzata dal popolo di Furlì, per la osservanza del testamento del padre, a rimetterlo nelle mani del Duca. Onde Filippo, per dare meno sospetto di sé, e per meglio celare lo animo suo, ordinò che il marchese di Ferrara mandasse come suo procuratore Guido Torello, con gente, a pigliare il governo di Furlì. Così venne quella terra in potestà di Filippo.
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