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      La qual cosa, cognosciuta da molti, fu loro ne' Consigli impedita: donde, per fare sentire dalle opere la durezza di quella, e per farla odiare da molti, operorono che gli esattori con ogni acerbità la riscotessero, dando autorità loro di potere ammazzare qualunque contro a' sergenti publici si difendesse. Di che nacquero molti tristi accidenti, per morte e ferite di cittadini; onde pareva che le parti venissero al sangue, e ciascuno prudente dubitava di qualche futuro male, non potendo gli uomini grandi, usi ad essere riguardati, sopportare di essere manomessi, e gli altri volendo che ugualmente ciascuno fusse aggravato. Molti per tanto de' primi cittadini si ristrignevano insieme, e concludevono come gli era di necessità ripigliare lo stato; perché la poca diligenzia loro aveva dato animo agli uomini di riprendere le azioni publiche e fatto pigliare ardire a quelli che solieno essere capi della moltitudine. E avendo discorso queste cose infra loro più volte, deliberorono di rivedersi ad un tratto insieme tutti, e si ragunorono nella chiesa di Santo Stefano più di settanta cittadini, con licenza di messer Lorenzo Ridolfi e di Francesco Gianfigliazzi, i quali allora sedevano de' Signori. Con costoro non convenne Giovanni de' Medici; o che non vi fusse chiamato come sospetto, o che non vi volesse, come contrario alla opinione loro, intervenire.
     
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      Parlò a tutti messer Rinaldo degli Albizzi. Mostrò le condizioni della città; e come, per negligenzia loro, ella era tornata nella potestà della plebe, donde nel 1381 era stata da' loro padri cavata; ricordò la iniquità di quello stato che regnò da il 78 allo '81; e come da quello a tutti quelli che erano presenti era stato morto a chi il padre e a chi l'avolo; e come si ritornava ne' medesimi pericoli, e la città ne' medesimi disordini ricadeva, perché di già la moltitudine aveva posto una gravezza a suo modo, e poco di poi, se la non era da maggiore forza o da migliore ordine ritenuta, la creerebbe i magistrati secondo lo arbitrio suo; il che quando seguisse, occuperebbe i luoghi loro, e guasterebbe quello stato che quarantadue anni con tanta gloria della città aveva retto, e sarebbe Firenze governata, o a caso, sotto l'arbitrio della moltitudine, dove per una parte licenziosamente e per l'altra pericolosamente si viverebbe, o sotto lo imperio di uno che di quella si facesse principe.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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