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      Io non so quale necessità sia maggiore che la nostra, o quale pietà possa superare quella che tragga la patria sua di servitù: è certissimo per tanto la causa nostra essere piatosa e giusta; il che debbe essere e da noi e da te considerato. Né per la parte tua questa giustizia manca; perché i Fiorentini non si sono vergognati, dopo una pace con tanta solennità celebrata, essersi con i Genovesi tuoi ribelli conlegati: tanto che, se la causa nostra non ti muove, ti muova lo sdegno. E tanto più veggendo la impresa facile: perché non ti debbono sbigottire i passati esempli, dove tu hai veduto la potenza di quel popolo e la ostinazione alla difesa; le quali due cose ti doverrebbono ragionevolmente ancora fare temere, quando le fussino di quella medesima virtù che allora: ma ora tutto il contrario troverrai: perché quale potenza vuoi tu che sia in una città che abbia da sé nuovamente scacciato la maggiore parte delle sue ricchezze e della sua industria? quale ostinazione vuoi tu che sia in uno popolo per sì varie e nuove nimicizie disunito? La quale disunione è cagione che ancora quelle ricchezze che vi sono rimase non si possono, in quel modo che allora si potevono, spendere; perché gli uomini volentieri consumono il loro patrimonio, quando ei veggono per la gloria, per l'onore e stato loro proprio consumarlo, sperando quello bene racquistare nella pace, che la guerra loro toglie, non quando ugualmente, nella guerra e nella pace, si veggono opprimere, avendo nell'una a sopportare la ingiuria degli nimici, nell'altra la insolenzia di coloro che gli comandano.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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