E benché il Papa fusse da molti avvertito dello inganno, nol credeva, né poteva udire alcuno che dicesse il contrario. Era la città di Ravenna da Ostasio da Polenta per la Chiesa governata. Niccolò, parendogli tempo da non differire più la impresa sua, perché Francesco suo figliuolo aveva, con ignominia del Papa, saccheggiato Spuleto, deliberò di assaltare Ravenna, o perché giudicasse quella impresa più facile, o perché gli avessi con Ostasio secretamente intelligenzia; e in pochi giorni, poi che l'ebbe assalita, per accordo la prese. Dopo il quale acquisto, Bologna, Imola e Furlì da lui furono occupate. E quello che fu più maraviglioso è che di venti rocche, le quali in quelli stati per il Pontefice si guardavano, non ne rimase alcuna che nella potestà di Niccolò non venisse. Né gli bastò con questa ingiuria avere offeso il Pontefice, che lo volle ancora con le parole, come egli aveva fatto con i fatti, sbeffare; e scrisse avergli occupate le terre meritamente, poi che non si era vergognato avere voluto dividere una amicizia quale era stata intra il Duca e lui, e avere ripiena Italia di lettere che significavano come egli aveva lasciato il Duca e accostatosi a' Viniziani.
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Occupata Niccolò la Romagna, lasciò quella in guardia a Francesco suo figliuolo, ed egli, con la maggiore parte delle sue genti, se ne andò in Lombardia. E accozzatosi con il restante delle genti duchesche, assalì il contado di Brescia, e tutto in brieve tempo lo occupò: di poi pose lo assedio a quella città. Il Duca, che desiderava che i Viniziani gli fussero lasciati in preda, con il Papa, con i Fiorentini e con il Conte si scusava, mostrando che le cose fatte da Niccolò in Romagna, se le erano contro a' capitoli, erano ancora contro a sua voglia; e per secreti nunzi faceva intendere loro che di questa disubbidienza, come il tempo e la occasione lo patisse, ne farebbe evidente demostrazione.
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