E avendo più tempo innanzi cognosciuto la necessità nella quale dovevano venire i Viniziani, avevano dimostro al Conte come la rovina di quelli sarebbe la rovina sua, e come egli s'ingannava se credeva che il duca Filippo lo stimasse più nella buona che nella cattiva fortuna, e come la cagione per che gli aveva promessa la figliuola era la paura aveva di lui. E perché quelle cose che la necessità fa promettere fa ancora osservare, era necessario che mantenessi il Duca in quella necessità; il che sanza la grandezza de' Viniziani non si poteva fare. Per tanto egli doveva pensare che, se i Viniziani fussino constretti ad abbandonare lo stato di terra, gli mancherieno non solamente quelli commodi che da loro egli poteva trarre ma tutti quelli ancora che da altri, per paura di loro, egli potessi avere. E se considerava bene gli stati di Italia, vedrebbe quale essere povero, quale suo nimico: né i Fiorentini soli erano, come egli più volte aveva detto, suffizienti a mantenerlo; sì che per lui da ogni parte si vedeva farsi il mantenere potenti in terra i Viniziani. Queste persuasioni, aggiunto allo odio aveva concetto il Conte con il Duca, per parergli essere stato in quel parentado sbeffato lo feciono acconsentire allo accordo: né per ciò si volle per allora obligare a passare il fiume del Po. I quali accordi di febraio, nel 1438, si fermorono: dove i Viniziani a' duo terzi, i Fiorentini al terzo della spesa concorsono; e ciascheduno si obligò, a sue spese, gli stati che il Conte aveva nella Marca a difendere.
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