Niccolò, intesi i consigli del Conte, condusse lo esercito suo a Peschiera; di poi con il marchese di Mantova e alquante delle sue più elette genti, andò ad incontrare il Conte; e venuti alla zuffa, Niccolò fu rotto, e le sue genti sbaragliate; delle quali parte ne furono prese, parte allo esercito, e parte all'armata si rifuggirono. Niccolò si ridusse in Tenna; e venuta la notte, pensò che, se gli aspettava in quello luogo il giorno, non poteva campare di non venire nelle mani del nimico; e per fuggire uno certo pericolo, ne tentò uno dubio. Aveva Niccolò seco, di tanti suoi, uno solo servidore, di nazione tedesco, fortissimo del corpo, e a lui sempre stato fedelissimo. A costui persuase Niccolò che messolo in uno sacco, se lo ponessi in spalla e, come se portassi arnesi del suo padrone, lo conducesse in luogo securo. Era il campo intorno a Tenna, ma per la vittoria avuta il giorno, sanza guardia e sanza ordine alcuno; di modo che al Tedesco fu facile salvare il suo signore, perché, levatoselo in spalla, vestito come saccomanno, passò per tutto il campo sanza alcuno impedimento, tanto che salvo alle sue genti lo condusse.
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Questa vittoria adunque, se la fusse stata usata con quella felicità che la si era guadagnata, arebbe a Brescia partorito maggiore soccorso, e a' Viniziani maggiore felicità; ma lo averla male usata fece che l'allegrezza presto mancò, e Brescia rimase nelle medesime difficultà. Perché, tornato Niccolò alle sue genti, pensò come gli conveniva con qualche nuova vittoria cancellare quella perdita e torre la commodità a' Viniziani di soccorrere Brescia.
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