E così i rettori e qualunque vi era del nome viniziano, nella rocca di San Felice rifuggirono. Dopo questo, alcuni de' primi cittadini a Niccolò e al marchese di Mantova si feciono incontro, pregandogli che volessero più tosto quella città ricca con loro onore, che povera con loro vituperio, possedere; massimamente non avendo essi apresso a' primi padroni meritato grado né odio apresso a loro per difendersi. Furno costoro da Niccolò e dal Marchese confortati; e quanto in quella militare licenza poterono, da il sacco la difesono. E perché eglino erano come certi che il Cont
e verrebbe alla recuperazione di essa, con ogni industria di avere nelle mani i luoghi forti s'ingegnorono; e quelli che non potevono avere, con fossi, sbarrate, dalla terra separavano, acciò che al nimico fusse difficile il passare dentro.
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Il conte Francesco era con le genti sue a Tenna, e sentita questa novella, prima la giudicò vana, di poi, da più certi avvisi cognosciuta la verità, volle con la celerità la pristina negligenzia superare. E benché tutti i suoi capi dello esercito lo consigliassero che, lasciato la impresa di Verona e Brescia, se ne andasse a Vicenza, per non essere, dimorando quivi, assediati dagli inimici, non volle acconsentirvi, ma volle tentare la fortuna di recuperare quella città; e voltosi, nel mezzo di queste sospensioni d'animo, ai proveditori viniziani e a Bernardetto de' Medici, il quale per i Fiorentini era apresso di lui commissario, promisse loro la certa recuperazione, se una delle rocche gli aspettava.
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