Fatte adunque ordinare le sue genti, con massima celerità ne andò verso Verona. Alla vista del quale credette Niccolò ch'egli, come da' suoi era stato consigliato, se ne andasse a Vicenza; ma veduto di poi volgere alla terra le genti e indirizzarsi verso la rocca di San Felice, si volle ordinare alla difesa. Ma non fu a tempo, perché le sbarre alle rocche non erano fatte, e i soldati, per la avarizia della preda e delle taglie, erano divisi; né potette unirli sì tosto che potessero obviare alle genti del Conte che le non si accostassero alla fortezza e per quella scendessero nella città. La quale recuperorono felicemente, con vergogna di Niccolò e danno delle sue genti; il quale insieme con il marchese di Mantova, prima nella cittadella, di poi, per la campagna, a Mantova si rifuggirono. Dove, ragunate le reliquie delle loro genti ch'erano salvate, con l'altre che erano allo assedio di Brescia si congiunsono. Fu per tanto Verona in quattro dì dallo esercito ducale acquistata e perduta. Il Conte, dopo questa vittoria, sendo già verno e il freddo grande, poi che ebbe con molta difficultà mandato vettovaglie in Brescia, ne andò alle stanze in Verona, e ordinò che a Torboli si facessero, la vernata, alcune galee, per potere essere, a primavera, in modo per terra e per acqua gagliardo, che Brescia si potesse al tutto liberare.
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Il Duca, veduta la guerra per il tempo ferma, e troncagli la speranza che gli aveva avuta di occupare Verona e Brescia, e come di tutto ne erano cagione i danari e i consigli de' Fiorentini, e come quelli né per ingiuria che da' Viniziani avessero ricevuta si erano potuti dalla loro amicizia alienare, né per promesse ch'egli avesse loro fatte, se gli era potuti guadagnare, deliberò, acciò che quelli sentissero più da presso i frutti de' semi loro, di assaltare la Toscana.
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