A questo il Conte, tutto sdegnato, rispose che vorrebbe i Fiorentini molto più discosto vedere. E così, lasciato ogni amorevole ragionamento, il Conte, non veggendo altro rimedio, cedé la terra e tutte le sue ragioni a' Fiorentini; e con tutte le sue robbe, insieme con la moglie e co' figliuoli, piangendo si partì; dolendosi di avere perduto uno stato che i suoi padri per novecento anni avevono posseduto. Queste vittorie tutte, come s'intesono a Firenze, furono da i principi del governo e da quel populo con maravigliosa allegrezza ricevute. E perché Bernardetto de' Medici trovò essere vano che Niccolò fusse ito verso la Marca o a Roma, se ne tornò con le genti dove era Neri; e insieme tornati a Firenze, fu loro deliberati tutti quelli onori e quali, secondo l'ordine della città, a loro vittoriosi cittadini si possono deliberare maggiori; e da i Signori e da' Capitani di parte, e di poi da tutta la città, furono ad uso di trionfanti ricevuti.
LIBRO SESTO
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Fu sempre, e così è ragionevole che sia, il fine di coloro che muovono una guerra, di arricchire sé e impoverire il nimico; né per altra cagione si cerca la vittoria, né gli acquisti per altro si desiderano, che per fare sé potente e debole lo avversario. Donde ne segue che, qualunque volta o la tua vittoria ti impoverisce o lo acquisto ti indebolisce, conviene si trapassi o non si arrivi a quel termine per il quale le guerre si fanno. Quel principe e quella republica è dalle vittorie nelle guerre arricchito, che spegne i nimici ed è delle prede e delle taglie signore; quello delle vittorie impoverisce, che i nimici, ancora che vinca, non può spegnere, e le prede e le taglie, non a lui, ma a i suoi soldati appartengono.
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