Di qui nasceva che l'uno godeva poco la vittoria, l'altro poco sentiva la perdita; perché il vinto era a tempo a rifarsi, e il vittorioso non era a tempo a seguire la vittoria.
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Questo disordine e perverso modo di milizia fece che Niccolò Piccino era prima rimontato a cavallo, che si sapesse per Italia la sua rovina; e maggiore guerra faceva dopo la perdita al nimico, che prima non aveva fatta. Questo fece che, dopo la rotta di Tenna, e' potette occupare Verona; questo fece che, spogliato delle sue genti a Verona, e' potette venire con un grosso esercito in Toscana; questo fece che, rotto ad Anghiari, innanzi che pervenisse in Romagna, era in su i campi più potente che prima, e potette riempiere il Duca di Milano di speranza di potere difendere la Lombardia, la quale per la sua assenzia gli pareva quasi che avere perduta. Perché, mentre che Niccolò riempiva di tumulti la Toscana, il Duca si era ridotto in termine che dubitava dello stato suo; e giudicando che potesse prima seguire la rovina sua, che Niccolò Piccino il quale aveva richiamato, fusse venuto a soccorrerlo, per frenare l'impeto del Conte e temporeggiare quella fortuna con la industria, la quale non poteva con la forza sostenere, ricorse a quelli remedi i quali in simili termini molte volte gli erano giovati; e mandò Niccolò da Esti principe di Ferrara a Peschiera, dove era il Conte. Il quale per parte sua lo confortò alla pace, e gli mostrò come al Conte non era quella guerra a proposito: perché, se il Duca si indeboliva in modo che non potesse mantenere la reputazione sua, sarebbe egli il primo che ne patirebbe, perché da' Viniziani e Fiorentini non sarebbe più stimato.
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