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Il Conte, ancora che da ogni parte si sentisse da' Milanesi morso, sanza dimostrare o con le parole o con i gesti alcuna estraordinaria alterazione, rispose che era contento donare agli loro adirati animi la grave ingiuria delle loro poco savie parole; alle quali risponderebbe particularmente, se fusse davanti ad alcuno che delle loro differenze dovesse essere giudice, perché si vedrebbe lui non avere ingiuriati i Milanesi, ma provedutosi che non potessero iniuriare lui. Perché sapevono bene come dopo la vittoria di Carafaggio si erano governati; perché, in scambio di premiarlo di Verona o Brescia, cercavano di fare pace con i Viniziani, acciò che solo apresso di lui restassero i carichi della inimicizia e apresso di loro i frutti della vittoria, con il grado della pace e tutto l'utile che si era tratto della guerra. In modo che eglino non si potevono dolere, se li aveva fatto quello accordo che eglino prima avevano tentato di fare; il qual partito se alquanto differiva a prendere, arebbe al presente a rimproverare a loro quella ingratitudine la quale ora eglino gli rimproverano. Il che se fusse vero o no, lo dimosterrebbe, con il fine di quella guerra, quello Iddio ch'eglino chiamavano per vendicatore delle loro ingiurie; mediante il quale vedranno quale di loro sarà più suo amico, e quale con maggiore giustizia arà combattuto. Partitisi gli ambasciadori, il Conte si ordinò a potere assaltare i milanesi, e questi si preparorono alla difesa; e con Francesco e Iacopo Piccinino, i quali per lo antico odio avieno i Bracceschi con li Sforzeschi erano stati a' Milanesi fedeli, pensorono di difendere la loro libertà infino a tanto, almeno che potessero smembrare i Viniziani da il Conte, i quali non credevono dovessino esserli fedeli né amici lungamente.
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