Né arebbono differito molto a dimostrarsi, se la morte di frate Piero, cardinale di Santo Sisto, non fusse seguita; perché, avendo questo cardinale circuito Italia, e ito a Vinegia e Milano, sotto colore di onorare le nozze di Ercule marchese di Ferrara, andava tentando gli animi di quelli principi, per vedere come inverso i Fiorentini gli trovava disposti. Ma ritornato a Roma si morì, non sanza suspizione di essere stato da' Viniziani avvelenato, come quelli che temevano della potenza di Sisto, quando si fusse potuto dell'animo e dell'opera di frate Piero valere: perché, non ostante che fusse dalla natura di vile sangue creato, e di poi intra i termini d'uno convento vilmente nutrito, come prima al cardinalato pervenne, apparse in lui tanta superbia e tanta ambizione che, non che il cardinalato, ma il pontificato non lo capeva; perché non dubitò di celebrare uno convito in Roma, che a qualunque re sarebbe stato giudicato estraordinario; dove meglio che ventimila fiorini consumò. Privato adunque Sisto di questo ministro, seguitò i disegni suoi con più lentezza. Non di meno, avendo i Fiorentini, Duca e Viniziani rinnovato la lega, e lasciato il luogo al Papa e al Re per entrare in quella, Sisto ancora e il Re si collegorono, lasciando luogo agli altri principi di potervi entrare. E già si vedeva l'Italia divisa in due fazioni, perché ciascuno dì nascevano cose che infra queste due leghe generavono odio; come avvenne dell'isola di Cipri, alla quale il re Ferrando aspirava, e i Viniziani la occuporono; onde che il Papa e il Re si venivano a ristringere più insieme.
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