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      Questo era stimato assai nella guerra, e al Conte e al Papa obligato: non di meno mostrò la cosa essere difficile e pericolosa; i quali periculi e difficultà l'Arcivescovo s'ingegnava spegnere, mostrando gli aiuti che il Papa e il Re farebbono alla impresa, e di più gli odii che i cittadini di Firenze portavano a' Medici, i parenti che i Salviati e i Pazzi si tiravano dietro, la facilità dello ammazzargli, per andare per la città sanza compagnia e sanza sospetto, e di poi, morti che fussero, la facilità del mutare lo stato. Le quali cose Giovan Batista interamente non credeva, come quello che da molti altri Fiorentini aveva udito altrimenti parlare.
     
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      Mentre che si stava in questi ragionamenti e pensieri, occorse che il signor Carlo di Faenza ammalò, tale che si dubitava della morte. Parve per tanto allo Arcivescovo e al Conte di avere occasione di mandare Giovan Batista a Firenze, e di quivi in Romagna, sotto colore di riavere certe terre che il signore di Faenza gli occupava. Commisse per tanto il Conte a Giovan Batista parlasse con Lorenzo, e da sua parte gli domandasse consiglio, come nelle cose di Romagna si avesse a governare; di poi parlasse con Francesco de' Pazzi, e vedessero, insieme, di disporre messer Iacopo de' Pazzi a seguitare la loro volontà. E perché lo potesse con la autorità del Papa muovere, vollono, avanti alla partita, parlasse al Pontefice; il quale fece tutte quelle offerte possette maggiori in benifizio della impresa. Arrivato per tanto Giovan Batista a Firenze, parlò con Lorenzo, dal quale fu umanissimamente ricevuto e ne' consigli domandati saviamente e amorevolmente consigliato; tanto che Giovan Batista ne prese ammirazione, parendogli avere trovato altro uomo che non gli era stato mostro, e giudicollo tutto umano, tutto savio, e al Conte amicissimo.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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