resenti cose perverremo, concedendone Iddio vita, sarà largamente dimostro. Le genti che sotto messer Lorenzo da Castello in Val di Tevere, e quelle che sotto Giovan Francesco da Talentino in Romagna erano, insieme, per dare favore a' Pazzi s'erano mosse per venire a Firenze; ma poi ch'eglino intesero la rovina della impresa, si tornorono indietro.
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Ma non essendo seguita in Firenze la mutazione dello stato, come il Papa e il Re desideravano, deliberarono quello che non avevono potuto fare per congiure farlo per guerra; e l'uno e l'altro, con grandissima celerità, messe le sue genti insieme per assalire lo stato di Firenze, publicando non volere altro da quella città, se non che la rimovesse da sé Lorenzo de' Medici, il quale solo di tutti i Fiorentini avieno per nimico. Avevano già le genti del Re passato il Tronto, e quelle del Papa erano nel Perugino; e perché, oltre alle temporali i Fiorentini ancora le spirituali ferite sentissero, gli scomunicò e maladisse. Onde che i Fiorentini, veggendosi venire contro tanti eserciti, si preparorono con ogni sollecitudine alle difese. E Lorenzo de' Medici, innanzi ad ogni altra cosa, volle, poi che la guerra per fama era fatta a lui, ragunare in Palagio, con i Signori, tutti i qualificati cittadini, in numero di più di trecento; a' quali parlò in questa sentenza: - Io non so, eccelsi Signori, e voi, magnifici cittadini, se io mi dolgo con voi delle seguite cose, o se io me ne rallegro. E veramente quando io penso con quanta fraude, con quanto odio io sia stato assalito e il mio fratello morto, io non posso fare non me ne contristi e con tutto il cuore e con tutta l'anima non me ne dolga.
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