E per tenere i Lucchesi in fede, acciò che o danari o viveri al nimico non sumministrassero, Piero di Gino di Neri Capponi ambasciadore vi mandorono; il quale fu da loro con tanto sospetto ricevuto, per l'odio che quella città tiene con il popolo di Firenze, nato da le antiche ingiurie e dal continuo timore, che portò molte volte pericolo di non vi essere popolarmente morto: tanto che questa sua andata dette cagione a nuovi sdegni, più tosto che a nuova unione. Rivocorono i Fiorentini il marchese di Ferrara, soldorono il marchese di Mantova, e con instanzia grande richiesono a' Viniziani il conte Carlo, figliuolo di Braccio, e Deifebo, figliuolo del conte Iacopo, i quali furono alla fine, dopo molte gavillazioni, da' Viniziani conceduti; perché, avendo fatto tregua con il Turco, e per ciò non avendo scusa che gli ricoprissi, a non osservare la fede della lega si vergognorono. Vennono per tanto il conte Carlo e Deifebo con buono numero di genti d'arme; e messe insieme, con quelle, tutte le genti d'arme che poterono spiccare dallo esercito che sotto il marchese di Ferrara alle genti del duca di Calavria era opposto, se ne andorono inverso Pisa per trovare il signore Ruberto, il quale con le sue genti si trovava propinquo al fiume del Serchio. E benché gli avesse fatto sembiante di volere aspettare le genti nostre, non di meno non le aspettò, ma ritirossi in Lunigiana, in quelli alloggiamenti donde si era, quando entrò nel paese di Pisa, partito. Dopo la cui partita furono dal conte Carlo tutte quelle terre recuperate che dai nimici nel paese di Pisa erano state prese.
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