Il magnifico Ruberto, considerate prima le genti d'arme del Papa e tutti gli apparati suoi, lo confortò a fare quanta più fanteria e' poteva; il che con ogni studio e celerità si misse ad effetto. Era il duca di Calavria propinquo a Roma, in modo che ogni giorno correva e predava infino alle porte della città; la qual cosa fece in modo indegnare il popolo romano, che molti voluntariamente s'offersono ad essere con il magnifico Ruberto alla liberazione di Roma; i quali furono tutti da quello signore ringraziati e ricevuti. Il Duca, sentendo questi apparati, si discostò alquanto dalla città, pensando che, trovandosi discosto, il magnifico Ruberto non avesse animo ad andarlo a trovare; e parte aspettava Federigo suo fratello, il quale con nuova gente gli era mandato dal padre. Il magnifico Ruberto, vedendosi quasi al Duca di gente d'arme uguale, e di fanterie superiore, uscì instierato di Roma, e pose uno alloggiamento propinquo a due miglia al nimico. Il Duca, veggendosi gli avversarii addosso fuori d'ogni sua opinione, giudicò convenirgli o combattere, o come rotto fuggirsi; onde che, quasi constretto, per non fare cosa indegna d'un figliuolo d'un re, deliberò combattere; e volto il viso al nimico, ciascuno ordinò le sue genti in quel modo che allora ordinavono, e si condussono alla zuffa, la quale durò infino a mezzogiorno. E fu questa giornata combattuta con più virtù che alcuna altra che fusse stata fatta in cinquanta anni in Italia, perché vi morì, tra l'una parte e l'altra, più che mille uomini, e il fine di essa fu per la Chiesa glorioso, perché la moltitudine delle sue fanterie offesono in modo le cavallerie ducali, che quello fu constretto a dare la volta, e sarebbe il Duca rimaso prigione, se da molti Turchi, di quelli che erano stati ad Otranto e allora militavano seco, non fusse stato salvato.
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