Sbigottiti per tanto i congiurati, veggendo come dal Papa non erano suvvenuti, e sentendo come il signore Lodovico, zio alla Contessa, mandava gente in suo aiuto, tolte delle sustanzie loro quello poterono portare, se ne andorono a Città di Castello. Onde che la Contessa, ripreso lo stato, la morte del marito con ogni generazione di crudeltà vendicò. I Fiorentini, intesa la morte del Conte, presono occasione di recuperare la rocca di Piancaldoli, stata loro dal Conte per lo adietro occupata. Dove mandate loro genti, quella con la morte del Cecca, architettore famosissimo, recuperorono.
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A questo tumulto di Romagna un altro in quella provincia, non di minore momento, se ne aggiunse. Aveva Galeotto, signore di Faenza, per moglie la figliuola di messer Giovanni Bentivogli, principe in Bologna. Costei, o per gelosia, o per essere male dal marito trattata, o per sua cattiva natura, aveva in odio il suo marito; e in tanto procedé con lo odiarlo, che la deliberò di torgli lo stato e la vita. E simulata certa sua infirmità, si pose nel letto; dove ordinò che, venendo Galeotto a vicitarla, fusse da certi suoi confidenti i quali a quello effetto aveva in camera nascosti, morto. Aveva costei di questo suo pensiero fatto partecipe il padre, il quale sperava, dopo che fusse morto il genero, divenire signore di Faenza. Venuto per tanto il tempo destinato a questo omicidio, entrò Galeotto in camera della moglie, secondo la sua consuetudine, e stato seco alquanto a ragionare, uscirono de' luoghi segreti della camera gli ucciditori suoi, i quali, sanza che vi potesse fare rimedio, lo ammazzorono.
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