Parrà gran cosa che in questa sconcertata costituzione di religione e di stato non vi sia alcun rimedio profittevole al re per le cose sue: ma la ragione di questo s'intende assai presto se si considera il re intorniato dai suoi più fieri nemici, riconciliati a lui non da pentimento o da amore, ma dall'ambizione o dall'interesse. E questa fu massima del cancelliere nel restabilimento del re: di ripigliar con le cariche e cogli onori gli spiriti più inquieti e più turbati, le persone più popolari, gli uomini insomma più ambiziosi e più avari, e trascurar quelli che avevano azzardato e vita e avere per servizio del re: col supposto che questi tali, poiché s'erano riconosciuti onorati nei giorni dell'afflizione, lo sarebbero stati altresì in quei della gloria, e poiché avevano avuto tanto zelo infino a quell'ora, averebbero aùto nell'avvenire altrettanta discretezza da compatire il re, se nella violenza delle congiunture gli conveniva lasciare indietro i suoi buoni e fedeli sudditi per assicurarsi, colle mercedi dovute a loro, di quei nemici che non poteva distruggere il ferro; dandosi in tutto pace nell'espettazione di tempo migliore, in cui fusse lecito al re di ricompensare in abbondanza l'indugio delle loro rimunerazioni. Questa cattiva massima non era tanto appoggiata sulla fede e la discretezza di costoro, quanto sulla loro impotenza; la quale, essendo principalmente originata dall'aver ben servito il re, in cambio d'attirar loro avvantaggi, attirò disprezzo e confidenza di profittarne impunemente, in derisione dei loro meriti e delle loro speranze.
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