Egli è fatto ora barone e pari del Regno, del privato consiglio, e tesorier delle prese, la più bella carica per rubare che sia in Inghilterra, con cent'altri impieghi che l'hanno fatto ricco. Uomo scaltro, che fa il semplice e non lo è, fa l'amico di tutti e non l'è di niuno, ha parole melate e cattivissimi fatti, non ha alcuna politura d'erudizione né abilità che trascenda la pratica delle cose ordinarie del Regno, non essendosi mai internato nel maneggio degli affari stranieri. È presbiterano, ed il suo maggior talento è d'introdurre un negozio e di venirne a fine secondo il suo intento, non già per una superiorità di spirito ma per una prodigiosa affluenza di rigiri, di bugie, di partiti e di cabale. Ha avuto due moglie: questa che ha presentemente è bella e disinvolta in tutti i generi. Ha un figliolo unico, che dicono maritarsi adesso.
Anglesey.>
Arthur, conte d'Anglesey, è un uomo che tra la natura e la gotta hanno reso una figura ridicola, non potendosi dire né stroppiato né sano. Egli è alto di statura, ha capelli corti e ricciuti, la testa è quasi calva, il viso lungo e macilente, il colorito tra pavonazzo e verde, gli occhi spaventosi: ha la bocca aperta, come se sempre volesse ridere, benché mai non lo faccia. È reputato uomo di pochissimi talenti, bugiardo, avaro, ingannatore, che in tutte le sue cariche è stato lacerato dal popolo, stimato affatto senza religione, che non ha mai servito il re se non quando non ha potuto farne di meno e che ha creduto trovarvi il suo utile.
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